Londra 1990 parte trentunesima

Non io mai avuto molta simpatia per i Francesi, tranne ovviamente Francois che ormai mi porto dietro da più di 4 mesi. Il loro accento quando parlano Inglese è veramente insopportabile e non cercano neanche di migliorarsi. Fu a causa di un manager Francese che parecchi anni dopo persi uno dei miei posti preferiti. Un wine bar, Jiulie’s, dove prima di me avevano lavorato solo donne, frequentato da attori, cantanti, modelle, broker della City, giornalisti e conduttori tv, ero divenuto  il loro confidente preferito, il pizza mafia e spaghetti in stile British….guadagnavo oltre settecento sterline a settimana e per più di sei mesi filo’ tutto liscio finché non arrivò un tipo da Parigi, il nuovo Manager. Una faccia a culo con il quale ovviamente non ho mai legato. Resistetti qualche giorno, oramai parlavo bene Inglese conoscevo Londra a memoria e avevo soprattutto 35 anni, sfidavo tutto e tutti come se non ci fosse un domani. Una sera lo chiusi in magazzino e lo attaccai al muro….Don’t fuck mess around with me, in poche parole non mi cacare il cazzo, gli dissi. Fra l’altro il locale aveva due piani, io gestivo la parte sotto, dove c’erano un bancone del bar stile ‘800, divani all’interno e tavoli in ferro battuto fuori. Lui sopra, allestito come un giardino stile coloniale con tante piante che venivano curate appositamente e giornalmente da un giardiniere. Pertanto durante il servizio non ci vedevamo  neanche e credevo che il mio sfogo fosse  terminato come la solita discussione lavorativa, invece lui fece rapporto dal capo che mi sospese per 14 giorni….Giusto il tempo di liberarmi di lui mi disse, poi voglio che torni te. Non tornai mai più, anzi presi la palla al balzo per andare a New York dove avrebbero suonato i Radiohead. Venne pure Simona che però per un mese non fece altro che maledirmi per aver abbandonato il lavoro. Quando tornammo, con Ralf il Polacco ci iscrivemmo ad un college di fotografia, comprai una bici e iniziai a scoprire e vedere Londra da un altro punto di vista,                                                                          Carlo che cazzo di pantaloni mi hai portato? Saranno 15 cm più lunghi della mie gambe. Va be Toscano risponde, con le spille li fermiamo, l’importante è raccattare questi 60/70 pounds per la giornata. Le scarpe avevano qualche buco in più del previsto, ci vollero almeno tre sottobicchieri da birra per scarpa, ma alla fine riuscì a presentarmi in maniera decente per l’extra. Eravamo ad un’ora da Londra, immersi nel verde di una vecchia Villa dove fuori avevano allestito cinque tende, ognuna delle quali conteneva 10 tavoli da 10 posti. Cinque camerieri per ogni tavolo, bisognava servire tutti assieme e non portare più di due piatti a testa. Antipasto, primo e secondo, il dolce dopo il discorso finale. All’inizio c’era chi serviva il pane, un panino per tutto il pasto, gli Inglesi hanno dato sempre più spazio al bere che al mangiare.  Acqua e vino a volontà che distribuiva un certo Miguel, un Portoghese che oramai lavorava solo con agenzie di catering solo perché era più facile bere. Di statura basso, sempre sorridente, con il viso chiazzato a macchia di leopardo dai capillari fatti saltare dall’alcol. Il manager, un greco grosso e grasso, seguiva il lavoro senza interesse, stava seduto su una sedia che scricchiolava ad ogni suo movimento. Miguel non aspettava mai che la bottiglia volgesse al termine, la cambiava con gentilezza e precisione e appena dietro tirava giù il rimanente. A fine serata poi avvenne la cosa più buffa.