Considero la vita una locanda, dove devo fermarmi fino all’arrivo della diligenza dell’abisso. Non so dove mi condurrà, perché non so niente.
Potrei considerare questa locanda una prigione, perché in essa sono costretto all’attesa; potrei considerarla un luogo in cui socializzare,
perché qui mi ritrovo insieme ad altri. Non sono, però, né impaziente né spontaneamente naturale. […] Mi siedo alla porta e imbevo i miei occhi e orecchi dei colori e dei suoni del paesaggio, e
canto sommessamente, solo per me, vaghe canzoni che compongo nell’attesa.
Per tutti noi scenderà la notte e arriverà la diligenza. Godo della brezza che mi è data e dell’anima che mi è stata data per goderla, e non mi
pongo altre domande né cerco altro. Se ciò che lascerò scritto nel libro dei clienti, riletto un giorno da qualcuno, potrà intrattenerlo nel transito,
andrà bene. Se nessuno lo leggerà, né si intratterrà, andrà ugualmente bene.