Londra 1990 parte ventisettesima

La sera arrivo in ritardo, un altro allarme bomba e un’ora e mezza fermi in metro. Trovo la ragazza seduta sulle scale appena fuori la porta. La luce delle insegne notturne filtra dalla finestra sbattendo su un orribile riproduzione che occupa parte del muro sopra la testata del letto. Faccio una doccia dico, lei invece risponde…allora io faccio una canna….Come approccio niente male anche se non ci trovo nessuna attrazione. Sono fatto così, se una donna mi prende lo sento subito, non ho bisogno di giorni per cambiare idea. Appena esco dalla doccia lei mi ferma per un braccio e dice….te lo dico subito….sono sieropositiva….rimango con le parole che sembrano sciogliersi sulla punta della lingua come candele al sole…ah…ok…capisco è tutto quello che riesco a tirar fuori. Accende la canna e me la passa, allungo la mano,  tiro con forza e lascio salire nell’aria una grossa nuvola di fumo. Come fai a sapere, mi chiede, che l’AIDS non si attacca con la saliva. Lo so rispondo mi sono informato, anche se di informazione alla fine degli anni ‘80 ce ne era davvero poca. Vorrei dirle altro ma non ho voglia, già ci penso abbastanza io in silenzio. Prima di partire mia sorella più grande era tornata da Verona dopo anni di eroina e prigione. Se scrivessi ciò che mi ha raccontato in quei pochi giorni che si è fermata a casa ne uscirebbe un libro di diverse centinaia di pagine. Per calmarla le compravo il fumo che poi dividevamo in giardino. Fu lei, alle mie prime esitazioni a dirmi sorridendo che con la saliva non c’è nessun pericolo di contagio. Una cosa è dirlo, una cosa è farlo, rispondevo, ma alla fine l’amore per lei prevaleva sulla paura. Quando successe ancora dopo che l’AIDS era stato conclamato ebbi ancora un blocco nell allungare la mano, ma poi vaffanculo a tutto e ci divisi ancora la canna. Ci lasciò per partire con destinazione Spagna, esattamente Siviglia, Andalusia, dove poi con il Bob andammo a riprendere nel 1994 dopo che per telefono aveva espresso il desiderio di voler morire a casa. Ne ho già descritto  il viaggio di andata e ritorno se ricordo bene, nel maggio o giugno del 2008, viaggio incredibile anche perché su di lei pendeva un mandato di arresto Internazionale per spaccio, che ci dichiarò solo centinaia di km dopo aver lasciato Siviglia. Fuori piove ancora, Londra non sembra avere problemi di siccità. Dopo aver fumato ci  lasciamo andare sul letto e lei inizia a raccontare parte della sua infanzia fra palazzi della periferia di Torino, I continui scioperi degli operai e i movimenti studenteschi che ancora sfruttavano la scia del ‘68. Girava di tutto ma l’eroina la faceva da padrona. Un tiro, due i primi buchi e non esci più. Poi dopo che ho scoperto di essere positiva, il mio ragazzo che stranamente non lo era, mi ha lasciata ed allora ho deciso di cambiare aria ed eccomi qui. E tu invece, chiede come mai sei a Londra? Ho preso un treno e sono venuto, non so ancora perché, forse per l’Inglese, alla fine diciamo tutti così o forse come diceva Michelangelo Buonarroti quando guardava un pezzo di marmo, ci vedeva già dentro la forma dell’opera d’arte e che il suo lavoro non era altro che togliere il superfluo, quello di troppo che imprigionava la statua. Anche noi siamo così. Ogni cosa è già qui anche se non si vede. L’opera d’arte è già dentro di noi. C’è già tutta: noi non dobbiamo far altro che procurarci gli strumenti per liberarla. Per liberarci. Ecco ci sto provando, sto cercando di procurarmi gli strumenti e capire dove posso arrivare.