Lisbona

La citta` e` affascinante, non ha certo la magia di Marsiglia, ma e` pur sempre una citta` di mare…e le citta` di mare hanno tutte un fascino particolare….Il viaggio che credevo condividere con la ragazza in carne, o nella migliore delle ipotesi con una donna di bella presenza, cosa che comunque non capita mai, ha assunto invece un aspetto molto piu’ folkloristico….ai miei fianchi in aereo c`era seduta una coppia gay….uno dei due non ha fatto che lisciarsi le unghie ed i capelli x tutto il tragitto, mandando ogni tanto occhiate provocatrici….l`altro meno male, ha dormito tutto il viaggio con tanto di mascherina e tappini di silicone negli orecchi…..Al mio arrivo in hotel, fra i due cambi di aereo e la compagnia, ho preso sonno in pochi minuti, subito dopo aver mandato affanculo la receptionist che insisteva che nel pacchetto non avevo incluso il breakfast…..Figuriamoci le dico, se prenoto un hotel x una settimana senza la colazione. x poi magari pagarla extra….E` da stamani che chiamano scusandosi che non avevano letto bene la prenotazione….e che la colazione come dicevo, era inclusa…..rincoglioniti….come un tipo Francese che proprio mentre facevo colazione, si e’ girato verso di me, intimandomi piu’ volte di spegnere il telefono dopo che avevo ricevuto qualche sms da jessika….lei ci mette sempre del suo, xche’ ti manda nel giro di poco 7,8 messaggi di poche parole…si…come ti avevo detto…domani vado…a prendere….la legna…dal…..e che cazzo, scrivine uno solo di 5 righe…..invece…bip…bip…bip….e questo stronzo….Messieur….Messieur…..le telephone…alor….e sti cazzi….gli dico….che comandi solo te…..Messieur…..se arrivano arrivano….la telephone….off…off…..ma guarda chi cazzo trovo la prima mattina appena sveglio….meglio far finta di niente….spengo il cellulare.e via, mi concentro sul buffet, mentre lui impaziente, con le mani appoggiate sul tavolo come un bambino a scuola, aspetta che la mogliettina gli scaldi la fetta di pane, gli versi il caffe’ e gli metta pure lo zucchero….e poi stai a rompe il cazzo a me x due squilli di telephone….

Grosseto

Il viaggio di ritorno inizia nella maniera migliore….Con un autobus e con poco più di un euro, ragguingo l’aeroporto di Belgrado dal centro della città….Il volo, Alitalia,  proviene da Mosca, parte ed arriva in orario, a Fiumicino subito il treno x Termini e da li a poco il treno, seppur regionale x Grosseto….Cazzo tutto troppo perfetto, c’è qualcosa che non quadra…..Infatti arrivati nel capoluogo Maremmano, verso le 23,30, il prossimo treno che prosegue x Follonica o Campiglia è alle 5 e mezzo del giorno successivo….Porca di quella maiala ladra…Ok mi tocca passare la notte in stazione, non fa freddo, rispetto a Belgrado quei 10/12 gradi in più sono una manna dal cielo, esco dai binari d’arrivo in cerca della sala d’aspetto, ho un libro con me e queste benedette 5 ore passeranno in fretta….Benedette una sega…la sala d’aspetto è chiusa, così come il bar e pure un piccolo uffico della polizia ferroviaria…Ok Grosseto non è New York, ma passare tutta la notte su una panchina della stazione non è il massimo, non ho con me niente di importante, però la macchina fotografica ed il cellulare possono tirar l’attenzione di qualche sbandato….E’ tutto quel che ho….tolgo la scheda dalla reflex e la sim dal cellulare, almeno le foto sono in salvo…Il primo non tarda ad arrivare, sbanda, ha la barba lunga e puzza d’alcool….mi chiede una sigaretta…gliene do due….”….Così dico, eviti di tornare…”….MI guarda, alza l’indice e mi dice….”….Io non ho paura…io non ho paura….”….”….Se non ce l’hai te, rispondo, non ce l’ho neanche io….fuma e non mi cacare il cazzo che devo passare tutta la notte qui…”….Se ne va borbottando qualcosa….Mi accendo una sigaretta anche io, l’orologio segna mezzanotte e mezzo….non mi passa più….Mi faccio una passeggiata, non c’è un’anima….da dietro una macchina sbuca un altro con la faccia di psyco….Non puzza come l’altro, ma ha i denti e le dita della mano destra gialli come il catarro, come cantava Fabi Fibra…Prima che mi chieda qualcosa tiro fuori le sigarette e gliene offro una….”….Grazie dice, mi sono scordato di comprarle….sono in pensione, sai…..sono depresso….”….”….Anche io rispondo, ogni tanto vado in depressione, ma la pensione non me la danno…”….”….Anche te sei depresso, risponde sorridendo….poi tutto di un tratto si ferma, sembra pensare a qualcosa, alza gli occhi al cielo come faceva Verdone nel film che lo ha lanciato….poi fissa me….io fisso lui….prende e se ne va…Riguardo l’orologio, sono passate le una, in fondo sulla sinistra c’è ancora quello che non ha paura, il depresso è sparito verso destra….prendo la zaino e mi vado a posizionare fuori dall’entrata di un hotel che si trova nella piazza della stazione, nella peggiore delle ipotesi mi butto dentro la hall….il portiere di notte mi vede ma non dice niente….Un’altra sigaretta e l’orologio segna quasi le due….Torno in stazione, affanculo i due fuori di testa, gli scalini dell’hotel sono scomodi e freddi….mi butto su una panchina e subito uno dei due non tarda ad arrivare….Meno male che avevo un pacchetto di sigarette quasi integro….Sigaretta, io non ho paura continua a ripetere, mentre il depresso ci osserva da lontano….Non ho ancora capito se si conoscono….Gli mostro il pacchetto di sigarette e corre verso di noi….”….Fumiamo va…che il tempo passa più in fretta…dico…”….Si guardano, quello dall’odore poco gradevole continua a dire che non ha paura, l’altro che è depresso, però prende la pensione….Sono quasi le 3 e a parte noi 3, non c’è un cane in giro…inizio a rilassarmi, loro parlano di qualcosa di totalmente incomprensibile, li guardo sorridendo, però fanno compagnia…

Gino Strada

Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette ‘mine giocattolo’, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.

Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una ‘strategia di guerra’ possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del ‘Paese nemico’. Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.

Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1.200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo ‘il nemico’? Chi paga il prezzo della guerra?

Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda. E nei 160 e più ‘conflitti rilevanti’ che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano. Lavorando in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l’entità di questa tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti.

Negli anni, Emergency ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le vittime di guerra in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in molti altri Paesi, ampliando in seguito le proprie attività in ambito medico con l’inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso. L’origine e la fondazione di Emergency, avvenuta nel 1994, non deriva da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d’ospedale. Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.

In 21 anni di attività, Emergency ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5 milioni di persone. Una goccia nell’oceano, si potrebbe dire, ma quella goccia ha fatto la differenza per molti. In qualche modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso l’esperienza di Emergency. Ogni volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.

Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l’idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco. In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all’indomani della seconda guerra mondiale.

Tale speranza ha condotto all’istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell’Onu: «Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole». Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948. «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti» e il «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».

70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa. A oggi, non uno degli Stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi. La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.

Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Solo nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4mila civili in vari Paesi, tra cui Afghanistan, Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e Somalia. Molte più persone sono state ferite e mutilate, o costrette a lasciare le loro case. In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia – nella maggior parte dei casi – portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.

Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: «Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?». È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano? Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.

Come medico, potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla. Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente. Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell’apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani: «L’orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana».

La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L’abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione. Possiamo chiamarla ‘utopia’, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. Molti anni fa anche l’abolizione della schiavitù sembrava ‘utopistica’.

Nel XVII secolo, ‘possedere degli schiavi’ era ritenuto ‘normale’, fisiologico. Un movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il consenso di centinaia di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della schiavitù: oggi l’idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell’utopia è divenuta realtà. Un mondo senza guerra è un’altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà. Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità.

Ricevere il Premio Right Livelihood Award incoraggia me personalmente ed Emergency nel suo insieme a moltiplicare gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale per l’abolizione della guerra. Approfitto di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa. Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future.

Portimao

Dall’odore che si sente dai finestrini, sembra di essere arrivati in una città di porto e fabbriche come Piombino, anche il nome inizia x p…invece Portimao mi sorprende, tanti piccoli grattacieli, un casinò ed una bella, larga e lunga spiaggia di sabbia, piena di surfisti….piove a dirotto…chiamo Jessika e le chiedo se può guardare su internet…albergo x cani…dopo 3 notti e 4 giorni di viaggio ho voglia di stendere le gambe…ed anche Apollo non è da meno…mi risponde dicendomi che non è in casa e che faccio prima io a trovarlo xchè oggi ha poca linea…cazzata che si poteva risparmiare…come fa a saperlo se non è ancora a casa?…affanculo…non trovo un cazzo, nessuno accetta cani, xdi più…bagnati…Sulla strada trovo un pazzo che con un forno a legna davanti ad un camion che in Italia venderebbe panini con la porchetta, cucina del pane e lo riempie con chorizo…via…uno io, uno il vecchio Apollo…il pane caldo con questo misto di salsiccia e salame piccante mi da la carica…un paio di birre e si riparte…una la rovescio completamente sul sedile x servire il cane…mentre smoccolo a tutta randa, ne prendo un’altra e parto a palla…luci spente e birra in mano…polizia zero…meno male…me ne accorgo solo quando esco dalla città, non vedo un cazzo…mi torna in mente un ragazzo che poco prima faceva il segno dei fari spenti ad un semaforo…credevo volesse un passaggio…piove di brutto…prendo l’autovia…il prossimo servizio però a 30 km….troppi…esco appena posso e riprendo la strada x Portimao…meglio dormire al porto che perdersi ancora…dopo una diecina di minuti trovo un motel…il portoghese lo mastico meglio…chiedo un quarto, una stanza x una notte…non dico niente del cane…prima di entrare gli dico di stare a cuccia e di non muoversi….non lo fare apollo, non ti far vedere xchè ti faccio dormire in macchina da solo…pago, l’uomo mi da la chiave, arriva sulla porta x spiegarmi dove andare ed io lo freno un pò…ok…ok…come fai a dire ok se non ti ho detto dove andare?…mi dice…continua con la spiegazione, non si accorge del cane…ubbidiente non si è mosso…arrivo con la macchina davanti camera…affanculo…i cretini come me che viaggiano con il cane…non potevo prenotare in anticipo non sapevo a che ora sarei arrivato…nella stanza accanto trombano che è una meraviglia…non lo farei neanche se avessi miss universo nel letto….faccio una doccia di mezz’ora, un’altra birra e mi addormento di botto…apollo pure…

Australia

Fabiò, assomiglia ad un ragazzo neozelandese con il quale lavoravo in un ristorante in Australia nel ’95…abitavamo anche nella stessa strada e quando l’orario di lavoro era il solito x entrambi ci trovavamo alla fermata del tram, dove lui arrivava sempre con un cannone di erba appena acceso…io avevo i miei piccoli, come chiamavo 3, 4 minicanne, tenute nel pacchetto di sigarette da 25, rollate però con una cartina piccola, che portavo al lavoro e fumavo di nascosto e velocemente durante il break, sulle scale di emergenza, quelle nere, come si vedono fuori dei palazzi nei film americani…in pratica una leggera sconvoltura che ripetevo 3, 4 volte durante le 8, 9 ore di servizio…lui no…una legnata pazzesca, io mettevo tabacco, lui solo erba, che gli durava dal pomeriggio alla sera…”…Cazzo Paul, dicevo mentre tossivo dopo solo un paio di tiri della sua…ma non le puoi fare un pò più leggere…ed usare qualche milligrammo di tabacco, tanto per….”….”….I don’t like tobacco, rispondeva…It harms you…better smoke only pure grass…”…Sarà…ma un paio di tiri dei suoi ed ero già a gallina…rimanevo incollato al vetro del tram a godermi Melbourne, il suo verde, le sue ampie strade, i viali, gli alberi che a maggio invece di fiorire, cominciavano a perdere le foglie…i grattacieli che ci ricordavano che eravamo quasi in centro…al lavoro, meno male era sempre super busy, non c’era tanto da discutere, mi mettevo il grembiule e partivo a palla aspettando un pò di calo, xchè mentre il fumo abbiocca quando cala, l’erba invece in down ti fa sentire meglio…ogni tanto incrociavo Paul in qualche tavolo o dietro dove lavavano i piatti…”…How are you?….gli chiedevo…”….e lui con la consueta calma…”…Fucking good man…”…

Genova 2010

…”….Allora mi chiede, luca, ti piacciono questi posti?…”…Siamo andando a Varzi, un paesino ad una 40ina di km da Voghera, dove lui dovrebbe andare a dirigere un centro benessere…”…Belli, niente da dire, rispondo…ma…siamo a metà ottobre e ci sono meno di 10 gradi, un cielo grigio e tanta nebbia…se si tratta di venire x qualche extra, vengo volentieri…ma stare qui tutto l’anno…non me la sento…x tornare a casa in inverno mi ci vuole il gatto delle nevi…la nebbia mi piace ma x fare le foto…comunque ci pensero’…”….Apollo invece si gode gli ampi spazi, i prati, dove vicino all’agriturismo corrono decine di cavalli….Ce n’è uno con un occhio chiaro, azzurro come il mare…sul quale cade una lunga treccia bionda, quasi bianca…Finalmente dopo quasi una settimana che sono a Genova, vedrò luca suonare in un posto serio, e non nella hall di un hotel, dove sicuramente tirerà fuori tutta la sua energia…La serata parte tranquilla, mangio con luca e la cantante, Michela, piccolina, ma con una voce da paura…verso la mezzanotte arrivano quelli che si passano il dito sotto il naso, a far vedere che anche loro, pippano…poveri cretini…se pippi veramente non ti vuoi far sgamare…non hai capito un cazzo…Luca si scatena, la cantante pure ed io non faccio altro che fotografare, dal palco, sotto, dietro…quando applaudono sono affianco loro e quasi quasi questi applausi li sento anche miei anche se non c’entro un cazzo, ma la cosa mi diverte e continuo a scattare…mi bevo un paio di birre, qualche cubalibre e mi scateno un po’…le ultime due wodka lemon mi danno la mazzata finale…ne avevo bisogno, anche xchè avrei dovuto lavorare in hotel all’Elba, ma i proprietari hanno preferito chiamare qualcun altro che costa meno di me x questi extra di ottobre…che bella riconoscenza dopo il culo della stagione…affanculo…troveranno di meglio in futuro…luca mi porta via sorridendo, io continuo a cantargli nell’orecchio Purple rain, fino sotto casa….

Machu Picchu

La loro origine rimane nello scrigno dell’ignoto. Abbondano, in compenso, miti e leggende, frutto di fantasie fertili e poetiche…Due, in particolare appaiaono importanti, godendo di ampia fama in tutta l’America del sud…la leggenda del lago Titicaca e la leggenda dei fratelli Ayar…Secondo la prima, intorno all’anno 1000 della nostra era, Manco Capac e Mama Ocllo, filgi del Sole, uscirono dalle acque del lago Titicaca e, muniti di una verga tutta d’oro, mossero a piedi in direzione nord-ovest, x compiere la missione loro affidata dal padre: vale a dire, fermarsi la’, dove la verga fosse penetrata nel terreno e fondarvi la capitale di un regno futuro. Il luogo fù la zona delle alture di Huanacauri e la citta’ impostata ebbe il nome di Cuzco…La seconda leggenda racconta di 4 fratelli e delle rispettive consorti, provenienti da una caverna…Tampu toco…dei monti Paucartampu, anche essi in viaggio x l’edificazione di un reame…i fratelli si chiamavamo Ayar Manco, Ayar Cachi, Ayar Uchu, e Ayar Auca…le spose erano Mama Ocllo, Mama Huaco, Mama Cora e Mama Rabua…Ayar Manco o Manco Capac si sarebbe imposto sugli altri e avrebbe costruito Cuzco x volonta’ divina…Come afferma l’etnologo Alfred Mètraux, la figura di Manco Capac appartiene a quella vasta categoria di personaggi mitici che tutte le tribù autoctone del continente Americano situano all’aurora della loro Storia…E’ un fatto, in ogni modo, che dietro la poesia della favola popolare si intravedono sempre accadimenti reali…in questo caso e’ chiaro che il richiamo mitologico si riferisce allo svolgersi di vicende migratorie, divinizzate a scopi di autoesaltazione….Così Manco Capac diventa il capostipite di una prima dinastia regnante, alla quale si attribuisce la discendenza dal Dio Sole…